A seguito delle indicazioni fornite dall’INAIL con la circolare n. 22 del 20 maggio, allegata, in merito alla tutela infortunistica applicabile ai lavoratori in caso di contagio da Covid-19 avvenuto nei luoghi di lavoro e ai profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro in tali casi, riteniamo opportuno ricordare e precisare che già alcune indicazioni erano state anticipate dall’Istituto con comunicato stampa del 15 maggio scorso.
Ora l’INAIL chiarisce espressamente che la responsabilità – civile e penale – del datore di lavoro è ipotizzabile solo in caso di violazione della legge o di obblighi derivanti dalle conoscenze sperimentali o tecniche, che nel caso dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, si possono rinvenire nei protocolli e nelle linee guida governativi e regionali.
E dunque, non è responsabile il datore di lavoro del contagio del proprio dipendente, se ha adottato ogni misura prevista dai protocolli divulgati per la sicurezza.
In assenza di una comprovata violazione, da parte del datore di lavoro, delle misure di contenimento del rischio di contagio di cui ai protocolli o alle linee guida di cui all’articolo 1, comma 14, del decreto-legge n. 33/20, sarebbe molto arduo ipotizzare e dimostrare la colpa del datore di lavoro.
In buona sostanza, l’INAIL ribadisce che, fatta eccezione per alcune categorie di lavoratori (es. personale medico-sanitario), non esiste una presunzione – che in ogni caso sarebbe comunque superabile con prova contraria – di riconducibilità causale della contrazione dell’infezione al luogo di lavoro.
Quindi, anche quando risultasse che il virus è stato in concreto ed effettivamente contratto in ambito lavorativo e fosse così possibile qualificare l’infezione come infortunio sul lavoro, discenderebbe soltanto l’indennizzabilità dell’evento da parte dell’INAIL stesso: in tal caso l’infortunato, per ottenere l’indennizzo, è tenuto a provare l’occasione della contrazione dell’infezione.
Al verificarsi di tale situazione, l’Istituto quindi precisa che la responsabilità civile e penale del datore di lavoro, può sussistere soltanto quando sia accertata la sua colpa nel verificarsi dell’infortunio: è necessario, in altre parole, che il contagio del dipendente non solo sia effettivamente avvenuto in occasione di lavoro, ma sia anche imputabile al datore di lavoro.
In proposito, peraltro solo nell’ipotesi in cui sia dimostrata una effettiva responsabilità del datore di lavoro, l’INAIL ha titolo per pretendere il rimborso di quanto erogato al lavoratore infortunato.
Peraltro, il dipendente potrebbe agire per ottenere un ulteriore risarcimento del danno (rispetto a quanto ricevuto dall’INAIL) nei confronti del proprio datore di lavoro. Egli, quindi, in propria difesa, potrà dimostrare di avere attuato quanto possibile per scongiurare l’infortunio (art. 2087 cod. civ.).
Una recente sentenza della Suprema Corte (n. 3282/2020) ha affermato che il datore di lavoro non risponde per responsabilità oggettiva ma solo per “difetto di diligenza nella predisposizione delle misure idonee a prevenire ragioni di danno per il lavoratore”.
La circolare in commento ha quindi concluso che l’imprenditore non è, in generale e con riferimento all’infezione da Covid-19, tenuto ad assicurare “il rischio zero” e pertanto il difetto di diligenza del datore di lavoro deve ritenersi senz’altro escluso quando egli abbia concretamente adempiuto a tutte le misure di cui ai noti protocolli/linee guida previsti per legge.
Riferimenti:
Confindustria Umbria
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