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Ispettorato Nazionale Lavoro: inquadramento previdenziale e corretta applicazione CCNL

L’Ispettorato nazionale del lavoro ha fornito, con la nota n. 1/2020 allegata, indicazioni operative in merito alla procedura di inquadramento previdenziale delle imprese ai sensi di quanto previsto dall’art. 49 della L. n. 88/1989.

L’Istituto ha ribadito, in particolare, quanto già chiarito dall’INPS con la circolare n. 80/2014, relativamente all’obbligo del datore di lavoro, nel trasmettere la domanda di iscrizione, di comunicare il codice dell’attività economica esercitata in relazione alla posizione aziendale aperta per i dipendenti, desunto dalla tabella ATECO 2007.

È stato poi ricordato che il codice ATECO è strutturato in modo dettagliato in funzione della classificazione statistica di tutte le attività economiche, alle quali è attribuito un codice alfanumerico in cui:

Le attività economiche sono quindi raggruppate, dal generale al particolare, in sezioni (codifica: 1 lettera), divisioni (2 cifre), gruppi (3 cifre), classi (4 cifre), categorie (5 cifre) e sottocategorie (6 cifre).

Sulla base del codice ATECO, l’INPS associa a ciascuna attività un codice statistico contributivo, denominato C.S.C., composto da cinque cifre, sulla base del quale vengono assegnate all’impresa le aliquote contributive relative all’attività svolta ed alle assicurazioni cui è soggetta. Al C.S.C. viene sempre abbinato il codice ISTAT, che descrive nel particolare l’attività aziendale.

Chiarito, inoltre, che per specificare obblighi o agevolazioni di alcune categorie di imprese, sono attribuiti anche i Codici Autorizzazione (C.A.), che hanno lo scopo di individuare, all’interno di imprese aventi il medesimo C.S.C., quelle soggette ad un particolare regime contributivo o che beneficiano di sgravi e riduzioni.

L’insieme di tutti i codici attribuiti definisce il regime contributivo dell’azienda e quindi l’aliquota che deve essere applicata per il versamento dei contributi.

Ribadito, inoltre, che le eventuali modifiche rispetto all’iniziale posizione aziendale o il verificarsi di eventi la cui conseguenza imponga una diversa valutazione degli obblighi contributivi, comportano la variazione dell’inquadramento previdenziale, come disciplinato dall’art. 3 della L. n. 335/1995.

Laddove le attività plurime non siano connotate dai caratteri dell’autonomia funzionale ed organizzativa, ai fini dell’inquadramento rileva l’attività prevalente svolta con i lavoratori dipendenti, ritenendosi le altre attività sussidiarie o ausiliarie di quella principale.

Con specifico riferimento al settore industria, è stato chiarito che, ai fini dell’accertamento della natura industriale di un’impresa è rilevante, di norma, che l’attività economica sia organizzata al fine della realizzazione di un prodotto nuovo in cui l’attività prevalente consista nella trasformazione della materia prima. Possono, peraltro, rientrare anche “attività in cui la materia prima non subisce modificazioni delle sue proprietà intrinseche, come nelle ipotesi “di semplice trattamento della materia prima, operato nell’esercizio di un’attività economica organizzata… quando risulti prevalente, sotto il duplice profilo economico e funzionale, il momento della trasformazione della materia prima e della produzione di servizi, preordinati alla commercializzazione di un bene direttamente utilizzabile per il consumo con caratteristiche diverse da quelle del bene originario” (Cass. sent. n. 2932/2016).

Rientrano nel settore, inoltre, le attività di produzione di servizi aventi caratteristiche proprie delle lavorazioni industriali (ad es. le attività estrattive o servizi di pulizia svolti con macchinari complessi).

Al fine di esplicitare meglio i principi suddetti, l’Ispettorato ha, poi, richiamato la sentenza della Cassazione n. 8558/2014, relativa ad un datore di lavoro che, al momento dell’iscrizione all’INPS, ha comunicato di svolgere attività di “impiantistica”, alla quale è seguito l’inquadramento nel settore Industria. In realtà, a seguito della verifica ispettiva è emersa, sulla base del criterio rappresentato dal “volume d’affari”, l’assoluta prevalenza dell’attività commerciale rispetto a quella di tipo impiantistico, rettificando l’inquadramento previdenziale e trasferendo l’azienda dal settore Industria al settore Terziario, con effetto retroattivo, entro il limite della prescrizione quinquennale.

Con riferimento, poi, alle attività plurime, è stato chiarito che, nel caso in cui l’impresa svolga più attività, l’applicazione di un differente regime contributivo discende dall’autonomia funzionale e organizzativa delle strutture presso le quali le stesse sono svolte. Diversamente, si applicherà il regime contributivo dell’attività prevalente rispetto alla quale le altre devono ritenersi sussidiarie o ausiliarie.

È stato, poi, ribadito quanto già comunicato dall’Inps, con le circolari n. 9/2017 e n. 56/2017, in merito al concetto di unità produttiva. L’Istituto aveva infatti chiarito che la stessa deve essere connotata da una condizione di autonomia funzionale intesa come sostanziale indipendenza tecnica e in essa deve essere svolto e concluso, in conformità con gli orientamenti della giurisprudenza, l’intero ciclo produttivo o una sua autonoma frazione (Cass. sent. n. 15211/2016 e n. 9558/2010).

Precisato, inoltre, che il termine “produttivo” non vuole riferirsi alla sola produzione di beni e servizi ma è volta ad escludere quelle attività che siano semplicemente strumentali o preparatorie alla produzione o alla vendita. Qualora, quindi, sia svolta una (o più) attività secondaria rientrante in un diverso settore, connotata da caratteri di autonomia funzionale ed organizzativa che legittimano l’attribuzione di distinti inquadramenti previdenziali, si può procedere all’apertura di una posizione per l’attività secondaria, diversa da quella principale.

Se, invece, le diverse attività svolte dal datore di lavoro non siano dotate di autonomia organizzativa ma siano collegate da un rapporto di connessione e accessorietà (c.d. attività promiscue o attività ausiliarie), si applica il principio della prevalenza (cfr. INPS circ. n. 80/2014).

Chiarito, inoltre, che l’attività è ausiliaria anche laddove sia svolta da una struttura organizzativa distinta che abbia anche autonomo rilievo giuridico (es. una società distinta), purché facente parte del medesimo gruppo industriale (INPS circ. n. 134/1994).

Nell’ipotesi di gruppi di imprese o holding in cui ciascuna società del gruppo è dotata di patrimonio e bilancio separati rispetto all’impresa capogruppo, per le quali può risultare complesso ricostruire il rapporto esistente tra le imprese appartenenti al gruppo e le holding alle quali è assegnata la funzione di controllo e coordinamento, è stato chiarito che se l’attività sia riconducibile, nel suo complesso, al raggiungimento dello scopo imprenditoriale unitario, anche in presenza di società collaterali facenti parte del gruppo, l’inquadramento sarà quello unico della società capogruppo (cfr. circ. INPS n. 134 e 321 del 1994).

Nell’ambito dell’attività di vigilanza ispettiva verrà, in primo luogo, verificata la corrispondenza tra C.S.C., codice ATECO ed effettiva attività esercitata, valutando, in particolare, i seguenti elementi:

Laddove l’Ispettore reputi l’inquadramento previdenziale non corretto, dovrà trasmettere la richiesta di modifica dell’inquadramento, corredata da una relazione dettagliata e motivata, al Direttore della sede INPS competente alla gestione del rapporto che, verificata l’esistenza dei presupposti legittimanti la variazione, adotterà il provvedimento di modifica dell’inquadramento, notificandolo al datore di lavoro.

In merito, poi, all’applicazione di contratti che fanno riferimento ad ambiti di attività del tutto differenti rispetto a quello in cui opera l’impresa, è stato chiarito che il corretto inquadramento aziendale, dal quale deriva l’individuazione degli obblighi contributivi dell’impresa, è antecedente rispetto all’individuazione del CCNL applicabile.

Ciò in quanto l’inquadramento effettuato in base all’attività svolta dall’impresa ha ricadute sulla individuazione del CCNL applicabile ai fini della determinazione della retribuzione da assoggettare a contribuzione (c.d. imponibile minimo) ai sensi dell’art. 1, comma 1, del d.l. n. 338/1989 che, secondo quanto previsto dalla norma interpretativa di cui all’art 2, comma 25, della L. n. 549/1995, fa riferimento alla “categoria” di attività.

È stato, inoltre, ribadito che la “categoria” dell’attività di impresa, di cui all’art. 2070 c.c., rileva sia ai fini dell’inquadramento aziendale sia ai fini del calcolo della contribuzione obbligatoria sugli importi delle retribuzioni previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale della “categoria” di riferimento dell’impresa.

Nel chiarire che la fonte collettiva opera da parametro per la determinazione dell’obbligo contributivo minimo, è stato riportato quanto già precisato dalla Suprema Corte (SS.UU. sent. n. 11199/2002): “l’importo della retribuzione da assumere come base di calcolo dei contributi previdenziali non può essere inferiore all’importo di quella che sarebbe dovuta, ai lavoratori di un determinato settore, in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali più rappresentative su base nazionale…”.

Inoltre è stato precisato che la nozione di “categoria” va intesa, secondo quanto precisato dalla giurisprudenza, quale “settore produttivo in cui opera l’impresa, risultando altrimenti incongruo l’obbligo di applicazione, sia pure ai soli fini contributivi, di una contrattazione collettiva vigente in un settore diverso, stante il rilievo pubblicistico della materia” (Cass. sent. n. 801/2012).

L’Ispettorato sul punto ha precisato che il suddetto concetto di categoria può essere ricondotto al C.S.C. attribuito all’azienda, fatte salve le verifiche circa il corretto inquadramento, sopra descritte.

Pertanto, l’Ispettore dovrà porre attenzione all’attività effettivamente esercitata dall’azienda e, qualora riscontri l’applicazione di un contratto collettivo non rispondente alla categoria/settore produttivo di appartenenza dell’impresa, potrà adottare i relativi provvedimenti di recupero contributivo (cfr. ML nota n. 10599/2016).

L’Ispettorato si è poi soffermato sulle seguenti specifiche casistiche:

Al riguardo la Cassazione (sent. n. 21537/2019) ha affermato che il datore di lavoro può applicare un diverso CCNL solo quando il precedente CCNL sia scaduto, ma non prima, non essendo consentito applicare, in corso di validità temporale del contratto, un altro accordo collettivo nazionale, neanche dando un congruo preavviso. Ciò nella misura in cui il datore di lavoro abbia specificato il trattamento retributivo e le mansioni del CCNL applicato nella lettera di assunzione consegnata al dipendente.

 

Riferimenti:
Confindustria Umbria
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